Sclerosi multipla, un trattamento promettente contro la forma progressiva

Per questo tipo di sclerosi multipla attualmente le terapie sono poche. Il nuovo farmaco, già usato in Giappone contro asma e ictus, è risultato efficace nel ridurre l'atrofia cerebrale tipica della malattia

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(foto: Pixabay)[/caption]

Un nuovo trattamento farmacologico è risultato efficace nella lotta contro la sclerosi multipla progressiva, mettendo un forte freno all'atrofia cerebrale, un segno tipico della malattia che si manifesta nella riduzione di una parte del cervello. Il farmaco in questione è ibudilast, testato da un team di ricerca coordinato dalla Cleveland Clinic negli Usa in uno studio clinico di fase due, lo stadio intermedio della sperimentazione in cui viene valutata l'attività e gli effetti della molecola. Il risultato potrebbe aprire nuove prospettive terapeutiche per questa forma di sclerosi multipla, per la quale attualmente non ci sono molte opzioni. I risultati della ricerca sono pubblicati sul New England Journal of Medicine.

La sclerosi multipla progressiva è una delle forme possibili della malattia, più frequentemente è l'evoluzione di del tipo recidivante-remittente, ma può anche essere una forma primaria (nel 15% dei casi). Questa forma è associata ad un peggioramento graduale dei sintomi, fra cui dolore, stanchezza, problemi nella deambulazione, e un aumento crescente della disabilità. Se per la sclerosi recidivante-remittente vi sono circa 12 trattamenti approvati, nessuna di queste terapie è però risultata efficace nel rallentare i sintomi della forma progressiva, soprattutto nel caso di infiammazione attiva. Questo rende sempre più necessario e urgente trovare nuove soluzioni terapeutiche.

Per tale ragione, i ricercatori hanno studiato gli effetti del farmaco ibudilast, già approvato nel 1989 in Giappone e impiegato contro asma e ictus. Grazie alle particolari proprietà, la molecola era già stata studiata nella sclerosi laterale amiotrofica e nella dipendenza da farmaci; e potrebbe avere effetti positivi anche nella sclerosi multipla progressiva. Per verificarlo, i ricercatori hanno coinvolto 255 volontari, divisi circa a metà nel gruppo trattato con ibudilast (una quantità inferiore o uguale a 100 mg al giorno, per 96 settimane) e in un gruppo di controllo, che avrebbe ricevuto un placebo durante lo stesso periodo di tempo. L'obiettivo primario dello studio riguardava la misurazione del tasso con cui parte del cervello si restringe. Per ottenere questa percentuale, i ricercatori hanno misurato la frazione parenchimale cerebrale, ovvero la dimensione dello strato esterno comparata con quella del volume totale. In base ai risultati, il farmaco ibudilast ha ridotto l'atrofia del 48% rispetto al gruppo di controllo.

“Si tratta di un risultato significativo per i pazienti con sclerosi multipla progressiva”, spiega Robert Fox del Neurological Institute al Cleveland Clinic, primo autore del paper. "Così, anche se è necessario uno studio più ampio per confermare questo risultato”, sottolinea il coautore Robin Conwit “questa ricerca promettente è utile per la sclerosi multipla progressiva, per la quale non ci sono molte opzioni terapeutiche”.

Lo studio ha anche stabilito che il farmaco è piuttosto sicuro e ben tollerato, motivo per cui ha ricevuto il lasciapassare della Fda statunitense (l'ente che si occupa di regolamentare medicine e alimenti) per lo studio in via prioritaria, di fatto un'accelerazione per lo sviluppo della sperimentazione. Fra le reazioni avverse sono stati registrati sintomi come mal di testa, depressione, problemi gastrointestinali.

Il prossimo passo, dunque, sarà quello di uno studio di fase tre, l'ultimo stadio della sperimentazione, in cui vengono studiate l'efficacia e la sicurezza del farmaco su un campione molto esteso di pazienti. “Ci auguriamo che il beneficio dell'ibudilast nel diminuire la riduzione cerebrale possa riguardare anche alla diminuzione della progressione delle disabilità associate alla malattia in un futuro studio di fase 3”, aggiunge Robert Fox.

Ma non è tutto. La ricerca, concludono gli autori, dimostra l'utilità dell'imaging avanzato (quello utilizzato in questo caso per misurare l'atrofia cerebrale) per conoscere l'impatto di una terapia sulla salute cerebrale, un approccio che potrebbe essere utile anche in altre malattie, come quelle neurodegenerative, fra cui l'Alzheimer.